Una giornata Zen alle Cascate del Campanaro - Extra

 Una giornata Zen alla Cascata del Campanaro

Quest'articolo sarà un po' diverso dal solito in quanto che oltre a presentare i principi del karate, conterrà la descrizione di una giornata che ho vissuto in prima persona. Ebbene, per chi non lo sapesse, io pratico Karate Kyokushin presso il Satori Dojo di Catanzaro sotto la guida del shihan Danilo Russo. E' per me una disciplina molto cara perché non si tratta solamente della pratica dei gesti atletici, ma anche della conoscenza della grande e affascinante storia e filosofia che la circonda e che la rende un'arte marziale e non semplicemente uno sport. 

Il karate in breve

Il karate è nato sull'isola di Okinawa, quando invasa dal Giappone la sua classe nobiliare sviluppò grazie ai contatti avuti precedentemente con la Cina una forma di autodifesa a mani vuote (agli abitanti di Okinawa era proibito possedere armi). Nacque così il tode, letteralmente "mano cinese", diviso in tre stili per i tre principali villaggi dell'isola. 

Fu importato in Giappone da Gichin Funakoshi e lì prese il nome di karate-do, ovvero "via della mano vuota" (kara = vuoto; te = mano; do = via). Dai tre stili originali se ne svilupparono molti altri; il mio stile, il kyokushinkai (che significa "via dell'estrema verità), è derivato dallo shotokan ed è stato inventato da Masutatsu Oyama; in esso è previsto pieno contatto eccetto i pugni alla testa e senza protezioni. Nel karate, come in tutte le arti marziali giapponesi, sono presenti i kata (ovvero "figure"), una serie di movimenti che rappresentano un combattimento contro avversari immaginari. L'insieme delle tecniche fondamentali si chiama kihon ed il combattimento fisico si chiama kumite. Per il karate la filosofia zen ha un ruolo molto importante e su di essa si basano i "20 precetti del karate" di Gichin Funakoshi (per chi fosse interessato a leggerli, cosa che consiglio vivamente, di seguito il link: https://www.jishindo.it/i-29-principi-del-karate.html) e il dojo kun, ovvero le cinque regole che determinano lo sviluppo fisico e spirituale del praticante di karate. Il nome del dojo a cui appartengo, satori, significa "comprendere" e nel Buddhismo Zen indica il momento dell'illuminazione.

L'esperienza alla cascata

Come ogni attività sportiva/lavorativa/scolastica durante l'estate gli allenamenti settimanali si sono fermati, ma il maestro ha deciso di organizzare due incontri, il primo dei quali sulla spiaggia di Giovino a fine giugno e l'ultimo, accompagnati anche dal senpai Bruno Martino, domenica 7 agosto alla Cascata del Campanaro, destinazione compresa nella Riserva Naturale Regionale Valli Cupe e collocata più o meno a metà strada tra i paesi di Zagarise e Sersale, in provincia di Catanzaro. Vi si arriva tramite un sentiero scosceso immerso nella natura del bosco della Sila. 

Abbiamo indossato il gi, la divisa del karate, e ci siamo tolti scarpe e calze. Il maestro ci ha quindi spiegato del perché nelle arti marziali ci si allena a piedi nudi: la pianta del piede è accomunata al palmo della mano perché sono le parti del corpo dove il tatto è più sviluppato e perciò stare a piedi nudi serve a percepire al meglio il terreno. Da questo ha continuato spiegandoci che ci ha portati in posti come la spiaggia e la cascata per imparare a svolgere l'attività motoria anche sotto stress fisico e per imparare ad adattarci all'ambiente circostante. Allenandosi solamente in palestra c'è infatti il rischio di prendere l'abitudine al suo ambiente e quindi di non riuscire poi a svolgere le tecniche in ogni luogo; è impossibile trovare dappertutto le condizioni ottimali. Il dojo, ha proseguito, non è "la palestra", ma qualunque posto dove si pratica l'arte marziale. "Dojo" è un termine giapponese composto da due parole: "do", che significa via (come nel termine "karate-do") e "jo", che significa luogo; insieme quindi vuol dire "luogo dove si pratica la via". I dojo dei primi maestri di karate erano posti immersi nella natura, proprio come la Cascata del Campanaro. Il dojo è inoltre secondo la tradizione il luogo in cui Buddha raggiunse l'illuminazione meditando, focalizzando i pensieri su di se, in maniera non troppo diversa da come, secondo Aristotele, Dio è pensiero di pensiero perché lui stesso avendo creato ed essendo tutto non può pensare a qualcosa di esterno. E anche noi, continua ancora il maestro, come Buddha possiamo trovare la "nostra illuminazione" meditando, concentrandoci su un pensiero, se problematico per risolverlo, se buono per gioirvene. Nelle arti marziali tale pratica si chiama "mokuso", termine composto da "moku", ovvero "silenzio" e "so", ovvero "meditare", quindi insieme "meditare in silenzio". E così ci siamo seduti con le gambe incrociate, con le braccia poggiate sulle ginocchia e le mani aperte con pollice e medio uniti, abbiamo chiuso gli occhi ed abbiamo meditato. Poi, sempre col gi e a piedi nudi, siamo entrati nell'acqua della cascata dove abbiamo nuovamente meditato, anche se questa volta in piedi, e messo in pratica ciò che il maestro ci ha detto riguardo all'adattabilità alle condizioni circostanti quindi eseguito tecniche ed un kata nell'acqua, con la difficoltà non solo della resistenza e della temperatura della stessa, ma anche del dislivello e scivolosità del fondale, degli zampilli della cascata e dei nostri movimenti. Finita la lezione, abbiamo risalito il sentiero e siamo andati insieme a pranzare al vicino Agriturismo del Carrozzino, trascorrendo una splendida giornata conviviale tra tutti noi nella splendida natura calabra. 


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Fonti: Shihan Danilo Russo; wikipedia.org

Scritto e redatto da Gennaro Fregola


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